Questa mia è una modesta e pacata lettura dei pochi documenti disponibili relativi alla gravissima decisione dello scioglimento del Consiglio Comunale di Rende.
Questa, in un mood meno modesto, avrebbe potuto configurarsi come una lettera: al Presidente della Repubblica (Monsieur le Président, je vous écrit une lettre), al ministro, ai partiti politici, o a chi, tra i miei concittadini, pensa che chi viene purgato, avrebbe dovuto “auto-purgarsi” preventivamente, che «quando si taglia un bosco, volano le schegge» (con Stalin), che “non c’è fumo senza arrosto”.
Lo “scioglimento” del Comune da parte del Presidente della Repubblica, avv. Sergio Mattarella, è stato decretato il giorno 28 giugno 2023.
Firmato appena poche ore dopo la deliberazione in materia del Consiglio dei Ministri, il decreto del Presidente si richiama alla detta delibera e alla relazione, allegata, del Ministro dell’Interno. La relazione di Piantendosi (anch’egli, come Mattarella, laureato in giurisprudenza) datata 21 giugno, consiste di poco più di tre pagine, e si richiama alla relazione, di pagine 73, della prefetta di Cosenza, Vittoria Ciaramella (sempre laureata in legge).
La delibera del Consiglio dei ministri risale alla sera prima, martedì 27 giugno 2023, sempre sulla proposta del ministro Piantedosi. Riunitosi alle 18:30e terminato alle 20:04, il Consiglio ha dovuto far fronte a un’agenda strapiena: misure per le famiglie e le imprese; la ricostruzione in seguito alle recenti calamità naturali; modifiche al codice della strada; la semplificazione dei controlli a carico delle imprese; l’abrogazione di norme prerepubblicane (1861-1890); tante nomine, tra cui diversi prefetti e addirittura il governatore della Banca d’Italia; collocamenti fuori ruolo; provvedimenti in materia di energia da fonti rinnovabili. Infine: lo scioglimento del Consiglio comunale di Rende e la proroga di quello di Castellammare di Stabia. Tutto ciò in un’ora e mezzo!
Non essendoci il tempo materiale né per il Presidente né per il governo di approfondire o verificare checchessia, appare evidente che il Presidente si è fidato ciecamente del Consiglio dei Ministri e del ministro Piantedosi, il quale – memore forse del suo passato da prefetto? – a sua volta si è fidato ciecamente della prefetta Ciaramella, la quale, in turno, si è fidata ciecamente della relazione della Commissione d’accesso, “rassegnata” il 24 marzo 2023. Trattandosi di tre legulei, pare quanto meno inusuale tanta fiducia concessa a priori, senza alcun tentativo di verifica.
Il D.P.R è stato notificato ufficialmente all’amministrazione comunale rendese, l’interessata unica e diretta, solo il giorno 17 luglio, anche se provvedimenti prefettizi sospensivi sono stati applicati immediatamente. Il D.P.R arrivò corredato dalla proposta Piantedosi (le suddette 3 pagine e mezzo) e dalla relazione prefettizia (di 74 pagine) ma NON dalla relazione della Commissione d’accesso. Quest’ultima, si dice di 492 pagine, che non ci è pervenuta (sebbene sembrerebbe accessibile ad alcuni giornalisti), si dice dovrebbe contenere prove di duraturi contatti tra l’amministrazione e “membri apicali della criminalità organizzata”, “la persistente operatività di organizzazioni criminali”, “lo scambio elettorale politico-mafioso” e così via.
Il fatto che l’ente, oggetto di verifica da parte della Commissione di Accesso, non abbia alcuna possibilità di interloquire con i propri accusatori – presentare memorie, elementi a discarico, in breve, istaurare un contradditorio – è un’anomalia del testo normativo italiano in materia, più volte denunciato in quanto incostituzionale e soggetto alle numerose proposte di modifiche. Intanto, però, rimane in vigore il sistema inquisitoriale, che concede poteri smisurati al Prefetto e alle Commissioni di accesso. La loro narrazione unilaterale stabilisce la verità unica.
Non avendo, quindi, a disposizione alcun materiale interlocutorio e con la relazione della Commissione di accesso che rimane fantomatica, non mi resta che affidarmi, nella presente lettura, a quel poco che abbiamo a disposizione, cioè la relazione Piantedosi e la relazione Ciaramella.
La relazione Piantedosi, alla base – ripeto – della delibera del governo e del decreto del Presidente, riassume per sommi capi (molto “sommi”, ma che puoi fare in tre pagine?) quella della Prefetta. Tuttavia, si nota un twist curioso: laddove la prefetta più volte sottolinea che si tratta di “elementi indizianti”, in assenza di un qualsiasi giudizio definitivo, il ministro usa termini perentori (l’acclarata “assenza di legalità”, “della presenza e dell’estensione dell’influenza criminale”). Pertanto, afferma, “si rendono necessari” lo scioglimento e la sua durata di diciotto mesi,
La relazione della Prefetta, che rappresenta, a su volta, il riassunto di quella fantomatica della Commissione d’accesso, presenta molti aspetti curiosi oltreché parecchie inesattezze.
Il riferimento “probatorio” principale è costituito dalle indagini avviate dalle tre procure (DDA di Catanzaro, di Salerno e di Cosenza), “sorretto, alla base, da un’operazione investigativa antimafia di grande portata, sfociata in un procedimento penale” (p. 69), senza precisare esplicitamente che nessun procedimento giudiziario si è finora concluso e altri non sono nemmeno iniziati. Come un altro riferimento “probatorio”, si citando diverse misure cautelari adottate in passato o nel presente, malgrado che quasi tutte sono state annullate o revocate, nei procedimenti finiti con esiti assolutori o revocatori, lasciando unicamente “il permanere della misura cautelare per uno di essi” (p. 65) UNO!!! La relazione parla di risultanze giudiziarie (p.65), ma in assenza di un qualunque giudizio definitivo. Dove è finita la presunzione dell’innocenza, fino al terzo grado del giudizio? La Prefetta ammette che il sindaco del Capoluogo si è astenuto dal voto perché ritenne “indispensabile … conoscere approfonditamente gli atti contenenti le risultanze delle indagini” (66). Strana pretesa, vero?
L’aspetto forse più surreale della narrazione della Prefetta è la sua quasi incomprensibilità, popolata com’è da decine di omissis, dotati di una potente capacità transitiva. Un esempio. Nella deposizione resa nel 2015, un collaboratore di giustizia Omissis dichiara: “sia io che omissis, la stessa omissis, moglie di omissis, omissis abbiamo fatto la campagna elettorale” (p.16). O altri simili: “socia della omissis è omissis, compagna di omissis, fratello del …” (p.42); “si è finiti con il favorire la omissis, compagna di omissis …” (p.48). Come si potrebbe pretendere che il presidente Mattarella o il ministro Piantedosi, o anche gli stessi rendesi, capiscano di chi si parla in una prosa del genere?
Il riferimento costante a legami di parentela/amicizia/amore è un modo veramente subdolo di insinuare la presenza di un diffuso familismo amorale e a folklorizzare la realtà meridionale (ad esempio l’uso del termine “compare”, p.19), categorie già ampiamente screditate nella letteratura sociologica. Nella stessa vena, la relazione suggerisce che ci sia del marcio nell’operato della omissis (si suppone Rende Servizi, pp. 57-58), per il solo fatto che abbia assunto alcune persone con precedenti penali, dimenticando (ad arte?) che il reinserimento socio-lavorativo dei detenuti nelle regioni del Mezzogiorno è stata una delle mission delle cooperative.
Una tale narrazione prepara il terreno discorsivo per la Prefetta (o la commissione d’accesso) per affermare, in sostanza, che nelle terre del Sud non valgono le regole sacrosante dello stato di diritto: la responsabilità individuale, la presunzione dell’innocenza, il giudizio riservato ai giudici. Suggerisce la Prefetta, citando a sostegno il parere del Procuratore della Repubblica di Cosenza, che, in questo contesto, si possa “prescindere dalla valutazione che ne farà il giudice in termini di riconoscimento o meno della soggettiva responsabilità penale” (pp.63-64) e ribadisce che “gli elementi emersi dalle indagini sono da configurarsi come dati storici inconvertibili, tanto da poter prescindere .. dal riconoscimento di responsabilità da parte del giudice penale” (p. 65).
La curiosa relazione della Prefetta (o della commissione d’accesso) senza dubbio incontrerebbe l’approvazione del famigerato Andrey Vyshinsky, procuratore generale dell’URSS e la mente legale della Grande Purga di Stalin. Sono sicura che i nostri tre, nel corso dei loro studi, abbiano incontrato la sua Teoria delle prove giudiziarie nella giustizia sovietica (vincitore del Premio Stalin nel 1947). Nella tradizione inquisitoriale, sebbene agisse come magistrato, Vyshinsky imponeva agli investigatori di estrarre confessioni dagli accusati, preparava le accuse prima della conclusione delle “indagini”, nella “prospettiva sociale più ampia” di ogni singolo caso. Di conseguenza, per la condanna, spesso a morte, in processi farsa e di massa, non era richiesta una commissione effettiva di un crimine. Non importava la verifica delle accuse – rivelatesi tutte false dopo la caduta dello stalinismo – ma la rappresentazione degli accusati, l’interesse dello Stato (o del Partito Comunista) e il ruolo “educativo” e politico del sistema giudiziario.
Da adolescente, nella Polonia comunista, tanti di noi hanno più volte subito il famigerato articolo 5e del cosiddetto Piccolo Codice Penale, introdotto nel 1952, che sanzionavaprovvedimenti ristrettivi “per altre importanti ragioni di stato”.
E un’ultima riflessione: mi sono chiesta se, piuttosto della calabrese Rende, fosse proposto lo scioglimento del comune, diciamo, di Aosta, una città pari alla nostra in termini di popolazione e anch’essa sede universitaria. Potrei scommettere che la proposta non sarebbe stata liquidata in tre pagine e in un minuto, che più di qualcuno avrebbe chiesto di conoscere le risultanze delle indagini, le prove, le verifiche. E non mi si dica che il pregiudizio antimeridionale appartenga solo ai settentrionali, giacché essi fin troppo spesso l’hanno appreso dai meridionali stessi, sempre più subalterni.