Golden Globe, Matteo Garrone in corsa con “Io Capitano”
Oggi è una giornata di gloria per il regista romano, poiché il suo capolavoro “Io capitano” è in lizza per i prestigiosi Golden Globe 2024 nella categoria Miglior film straniero. Questa è la 81ma edizione di questi premi, assegnati dall’Associazione della Stampa Estera accreditata a Hollywood. “Io Capitano” è uno dei cinque candidati al premio per il miglior film internazionale dei Golden Globe, riconoscimento che spesso predice i futuri vincitori degli Oscar.
Il film di Matteo Garrone, già vincitore del Leone d’Argento a Venezia, si scontra con altri grandi titoli come il francese “Anatomia di una caduta”, vincitore della Palma d’oro a Cannes, e il finlandese “Foglie al vento”. Questa competizione promette di essere epica e avvincente.
Con “Io capitano”, il talentuoso cineasta non mira a prendere posizione su questioni scottanti e attuali. Rimane fedele al suo stile distintivo e ci regala una prospettiva unica, che si distingue dalle narrazioni cinematografiche e televisive convenzionali. Garrone ribalta lo sguardo tradizionale della macchina da presa e lo focalizza sul viaggio dei due protagonisti, offrendoci una visione privilegiata delle loro esperienze e della loro prospettiva.
Questo viaggio è un sogno, una ricerca di una vita migliore e una contemplazione di orizzonti crepuscolari. Un rosso intenso apre le porte alla speranza di un futuro più appagante. Si può fare un parallelo con l’epopea omerica, poiché questo viaggio è un percorso di crescita e formazione. Ma a differenza delle epopee antiche, qui non c’è fuga dalla disperazione, dalla fame o dalla guerra. I protagonisti, Seydou e Moussa, sono due ragazzi senegalesi dei nostri giorni, desiderosi di migliorare le loro condizioni di vita.
Nonostante la madre cerchi di dissuaderli e uno sciamano conceda loro il permesso di partire dopo sei mesi di duro lavoro e risparmio, i due giovani decidono di intraprendere questa avventura segreta. La svolta nelle loro giovani vite arriva con l’arrivo in Europa, una terra che conoscono solo attraverso i mezzi di comunicazione e la potenza della globalizzazione. Garrone decide di non indagare ulteriormente sulle motivazioni di questo viaggio e si basa sulla sua personale esperienza di tre mesi trascorsi a stretto contatto con molti ragazzi africani.
Il regista afferma che questi ragazzi non riescono a comprendere come altri coetanei, che spesso parlano la loro stessa lingua, possano viaggiare liberamente in Africa, mentre loro non possono raggiungere l’Europa.
Così inizia a seguirli lungo il tragitto impervio che conduce alle “coste promesse”. Senza tralasciare le difficoltà che comporta attraversare il deserto in determinate condizioni, l’esperienza con i centri di detenzione in Libia. E poi il mare, l’imbarcazione di fortuna, il ritrovarsi capitano/scafista (Seydou) di una ciurma senza aver minimamente immaginato che potesse accadere, senza pensare alle conseguenze che tutto ciò potrebbe comportare, senza saper nuotare. Nei momenti ardui, il viaggio diventa narrazione fiabesca. Irrompe la dimensione onirica per stemperare la tensione della realtà. Perché è pur sempre una fiaba.
Perché è pur sempre Matteo Garrone.