Sono trascorsi quasi cinquant’anni dalla grande illusione del quinto polo siderurgico italiano nella piana di Gioia Tauro. Un luogo baciato da Madre Natura che una scelta sconsiderata – quanto infruttuosa – ha privato di ettari ed ettari di magnifici agrumeti, oliveti e vigneti, per un improvvido insediamento industriale. Tra l’altro mai del tutto compiuto. Mai decollato.
Tra i dieci finalisti della dodicesima edizione del Premio Sila, il romanzo di Carmine Abate, “Un paese felice”, si è sobbarcato l’onere di ricordare questa triste vicenda della storia italiana e calabrese. Ieri sera, al Museo dei Brettii e degli Enotri di Cosenza, insieme all’autore e con il contributo del giornalista Paride Leporace e della direttrice del Premio Sila, Gemma Cestari, si sono approfonditi i temi di cui il libro è portatore. Ne è scaturito un dibattito molto interessante a cui ha partecipato attivamente anche il numeroso pubblico presente.
“Prima che la spada di Damocle le cadesse addosso, Eranova era davvero un paese felice, la gente stava bene, aveva il lavoro – ha spiegato Carmine Abate, riferendosi al titolo del suo libro e alla genesi, alla ricerca, alla traditio orale che lui ha reso finalmente per iscritto –. Eranova adesso non c’è più, quella vicenda l’ha spazzata via. Il presidio urbano non è stato neanche spostato, com’è successo in altri luoghi interessati alla stessa tipologia di vicenda. Per documentarmi, forse sono riuscito a trovare le persone giuste, perché a volte le storie ti vengono incontro, come se ti chiedessero di raccontarle, diffonderle. E così le persone, i loro racconti, la loro personalità, che mi hanno colpito tantissimo, mi hanno parlato e in qualche modo tramandato le vicende anche molto intime delle loro disavventure che io, da narratore, ho sfruttato, rendendo universali i personaggi e quelle storie”.
“È un romanzo storico, ‘Un paese felice’, nel senso che è un racconto romanzato di fatti realmente accaduti, con qualche tratto autobiografico – ha sottolineato Gemma Cestari –. Ma è un romanzo storico su più livelli perché ha una grande sapienza di gestire una narrativa che attraverso i racconti di una comunità, quella di Eranova, ci fa conoscere, tramite le voci, i ricordi dei ricordi, le narrazioni di tutti i protagonisti, la storia del paese che nasce nel 1896 quando alcuni massari e contadini si ribellarono al marchese proprietario delle terre in cui vivevano per rivendicare la propria libertà, dare sostanza a un’utopia. E Carmine Abate dipinge tutto ciò con la sua scrittura densa, scattante ed evocativa”.
Storia, socialità, politica, radici di un territorio e del suo popolo in “Un paese felice”. Ne abbiamo parlato con lo scrittore calabrese
Non pensiamo di sbagliare, definendo “Un paese felice” un romanzo storico. Rimane vacante, forse, soltanto il giudizio critico di chi scrive che fino a un certo punto sembra voler parlare per bocca di Pasolini, ma poi la sua morte arriva prima…
“Un paese felice” non lo definisco un romanzo storico. Per qualcuno è un romanzo storico, per altri è un romanzo politico, per me è un romanzo romanzo. Partendo da un fatto storico reale, come romanziere, ho raccontato una storia che ritenevo e ritengo urgente, una storia da raccontare, una storia di ingiustizia. E quindi in questa storia d’ingiustizia non poteva non entrarci Pasolini. Che magari avrebbe potuto salvare il paese scrivendone e creando uno scandalo a livello nazionale, ma è morto prima che potesse fare qualcosa…
È un libro che si porta dietro una storia triste. Tante storie tristi. Ché la tristezza la si vede arrivare da tutte le direzioni, anche dalla lotta disperata di Lina, una pasionaria che non riesce a fare proseliti. E pian piano prende coscienza della sua battaglia impossibile…
Sì, la storia è triste perché il paese alla fine viene distrutto, ma in realtà, in tutto il libro aleggia un po’ la speranza della stessa Lina di poter salvare Eranova, tant’è che lei ha un proverbio, un proverbio arabo che continua a ripetere alle donne e a tutti gli abitanti di Eranova per esortarli a lottare: “Non arrenderti, potresti farlo cinque minuti prima del miracolo”. In buona sostanza, la fine del paese è quasi scontata, ma Lina si batte fino alla fine perché spera sempre in un miracolo, che qualcuno dall’alto capisca che è una grande ingiustizia e che non serve a niente realizzare lì il quinto centro siderurgico.
Degli agrumeti, degli oliveti, dei vigneti in quella porzione di piana è rimasta la leggenda. Del polo siderurgico, fossili. Leggere “Un paese felice” è anche un monito per il futuro, un’esortazione a non dimenticare, un insegnamento per le giovani generazioni a valorizzare le proprie origini…
Sì, su questo sono d’accordissimo, perché questo libro, mio malgrado, può essere un monito per la gente di oggi, per i giovani di oggi, più che per il futuro, perché non si ripetano gli errori che sono stati commessi nel passato, perché le storie che stanno succedendo oggi, anche la storia del Ponte sullo Stretto, hanno delle similitudini pazzesche con la storia di Eranova. Sono cominciate proprio in questi giorni, in queste settimane, gli espropri, e nel libro si parla degli espropri delle campagne, delle case degli eranovesi, e nessuno di loro credeva che veramente si potesse distruggere un paese per costruire una fabbrica. Così come oggi, magari, molti pensano che il Ponte sullo Stretto non si farà mai, ma se cominciano a insediarsi i cantieri e distruggono sia la costa siciliana sia quella calabrese, e poi non si fa nulla, allora davvero questa storia di Eranova dovrebbe servire ad aprire gli occhi, a far aprire gli occhi in primo luogo ai politici e poi a noi, alle persone comuni, sia in Calabria sia in Sicilia, sia a livello nazionale. Il quinto centro siderurgico, lo voglio ricordare, è stato il più grande investimento fatto dallo Stato nel sud Italia. Ma questi investimenti non possono essere fatti sulla testa delle persone. Le persone vanno coinvolte. Si fanno referendum per qualsiasi cosa, che se ne faccia uno per spiegare pro e contro del Ponte. Non possiamo invece infischiarcene di paesi che vengono distrutti, di paesaggi che scompaiono del tutto. La gente deve dire la sua su queste cose. Cosa che non è mai stata fatta né ai tempi di Eranova né adesso. Poi si lamentano che ci sono manifestazioni e chissà ancora cosa succederà…