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Decina 2024, presentato “Quasi niente sbagliato” di Greta Pavan

Dieci libri da presentare. Dieci autori incontrano il pubblico.

Il Premio Sila ’49 ha regalato un altro incontro molto interessante alla città di Cosenza. Ieri sera, lunedì 8 aprile, nella sala della libreria Mondadori, in pieno centro, Greta Pavan ha presentato il suo libro “Quasi niente sbagliato” (Bollati Boringhieri editore) che fa parte della Decina 2024 del premio letterario bruzio.

E ancora una volta, tanta gente è accorsa ad assistere all’evento, seguendo con palpabile interesse le parole della scrittrice e gli interventi dell’avvocato Erika Rodighiero e della professoressa Maria Letizia Stancati che, da appassionate della lettura, hanno contribuito ad approfondire i temi del libro, già insignito della Menzione Speciale della giuria del Premio Calvino 2022.

“‘Quasi niente sbagliato’ è un libro dalla strana e intelligentissima architettura – ha detto Gemma Cestari introducendo Greta Pavan – è la storia di Margherita, nata nel 1990 in Brianza, raccontata in capitoli, che scorrono con un avanti e indietro temporale funzionale alla costruzione complessiva, perché da questi capitoli in cui accadono apparentemente episodi minimi – il “quasi niente” del titolo –, viene fuori la complessità della formazione di Margherita e il suo tentativo di trovare un posto nel mondo, emergono tutti i membri della sua famiglia e il contesto che la circonda. E sono questi quasi niente che segnano le vite di tutti, soprattutto quando accadono nell’infanzia”.

L’opera di Greta Pavan

Le vicende narrate si svolgono in una Brianza fredda e austera, dove l’intero universo sociale gira attorno al lavoro. “La letteratura della provincia in Italia è molto fertile – ha spiegato Greta Pavan – ce n’è moltissima relativa al Sud d’Italia, molto poca riferita ad alcune aree del Nord.

La Brianza è stata trattata da Gadda, ma un altro tipo di Brianza rispetto a quella che c’è in questo romanzo, una Brianza verde, una Brianza di natura all’interno della cognizione del dolore. Io mi sono chiesta come mai, mi sono chiesta come mai e mi sono data una risposta che ha a che fare con la ricchezza e il benessere.

Cioè, laddove c’è un grande benessere, innanzitutto, di tipo economico, laddove sembra andare tutto bene, è più difficile trovare delle storie, perché le storie partono necessariamente da un conflitto. Se non c’è un conflitto, anche in una narrazione a lieto fine è molto difficile costruire una storia.

E all’interno di ambienti di questo tipo è complesso trovarne. E quindi io mi sono domandata, ma veramente in questo tutto giusto, non c’è una piccola crepa?

Sì, ci sono delle crepe. apparentemente molto piccole che però possono essere indagate e all’interno dei capitoli del romanzo troverete appunto episodi minimi, di minima violenza. Questo è un romanzo sicuramente sulla violenza ma non vi aspettate una violenza traumatica, non vi aspettate un grande evento scatenante di altri. Costruiscono più una tensione sotterranea che un’esplosione di violenza. Quindi si parla di personaggi che vengono definiti da piccolissimi atti di violenza che però in qualche modo, come mi piace immaginarli, una goccia che scava la roccia che definiscono l’esistenza dei miei personaggi e tutto ciò accade specificamente sul luogo di lavoro”.

Tre domande a Greta Pavan

Quanta attualità accoglie in sé, la Margherita che hai raccontato?

Dunque, credo che dal punto di vista tematico ne accolga. Naturalmente, si parla di lavoro, di un certo nuovo modo di interrogare il lavoro e di interrogare il lavoro come veicolo di tutto, come bacino di tutto l’esistente e come unica possibilità, come priorità della nostra vita. E questo mi sembra sia un tema abbastanza attuale. Detto ciò, il conflitto che c’è all’interno del lavoro, naturalmente, è un conflitto che c’è sempre stato, lo sfruttamento non è un tema di oggi. Perciò mi piace pensare a questa storia anche nei suoi risvolti un pochino più universali, in parola grossa e pretenziosa, però mi piace pensare anche alla vicenda umana di Margherita, a prescindere dallo spirito e del tempo in cui è emersa.

Quanto hanno pesato le origini venete della famiglia di Margherita e lo status di emigranti nel delinearne la sua personalità?

Molto, perché origini venete in Brianza significa essere degli outsider rispetto al luogo in cui lei si trova. Margherita nasce in una famiglia che in maniera originaria è outsider e non appartenente al luogo in cui vive, nonostante i veneti, insieme ad altre emigrazioni, l’abbiano in qualche modo fondata, la Brianza, quindi altro che fa parte di altro. Però il fatto di essere emigrati dal Veneto determina anche che si tratta di persone molto povere, e anche questo è un elemento di alterità rispetto all’ambiente in cui lei è emersa, che al contrario è un ambiente molto ricco e di grande benessere. Naturalmente il riscatto, soprattutto quando il livello di povertà è quello, è il lavoro. E c’è poco da girarci intorno, perciò, anche questo tipo di imprinting è determinato dal lavoro.

Margherita è una sognatrice oppure semplicemente una ragazza che vorrebbe far valere la sua intraprendenza nel lavoro e di conseguenza nella vita?

Sognatrice direi di no, perché Margherita per me è un personaggio profondamente nichilista, non ha spazio per i sogni, ha spazio per degli incubi ma non per dei sogni, quindi non direi sognatrice. E neanche completamente una persona che vorrebbe far valere la sua intraprendenza. È una donna, inizialmente, alla ricerca di un’appartenenza, che non trova nelle bandiere, non trova nelle persone che ha intorno, non trova assolutamente nel lavoro. Perciò girovaga nel suo mondo alla ricerca di qualcosa o qualcuno a cui appartenere. E a un certo punto pensa che quello possa essere il lavoro, ma è una convinzione che lei eredita, non è una convinzione veramente radicata in lei.

 

 

 

 

 

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